Il caso. Scuole paritarie, «docenti discriminati nella ricostruzione della carriera»
Scuola paritaria (foto di archivio, Boato)
Il servizio pre-ruolo prestato nelle scuole paritarie non può essere computato ai fini della ricostruzione della carriera degli insegnanti che sono assunti nella scuola statale. Che sono costretti a ripartire da zero, perdendo scatti e anzianità, anche dopo anni di lavoro. Lo ha stabilito una sentenza della Corte di Cassazione, pubblicata in questi giorni, respingendo il ricorso di sei docenti delle scuole superiori di Trento.
Le insegnanti erano ricorse al Tribunale per vedersi, appunto, riconosciuti, ai fini salariali, i periodi di servizio prestati nelle scuole paritarie, a partire dal 2000, anno di entrata in vigore della legge 62 sulla parità scolastica. Pur riconoscendo il “servizio pubblico” prestato dalle scuole paritarie, così come stabilito dalla legge 62 e confermato dalla Corte Costituzionale nel 2003, che aveva respinto la richiesta di referendum abrogativo della norma sulla parità, la Cassazione rileva che l’equiparazione tra scuole statali e scuole paritarie vale soltanto per il servizio dell’istruzione e non per il rapporto di lavoro tra la scuola e l’insegnante. «La legge 62 del 2000 – si legge nella sentenza della Suprema Corte – non aveva disciplinato il riconoscimento del servizio pre-ruolo ai fini della ricostruzione della carriera presso scuole non statali».
Quindi, prosegue la sentenza, «in mancanza di una norma di legge, non sussiste la necessaria premessa della omogeneità delle posizioni professionali per pervenire al riconoscimento del servizio pre-ruolo in via interpretativa». Infine, pur confermando, come vuole la legge, che «la scuola statale e quella paritaria devono garantire i medesimi standard qualitativi», la Cassazione ribadisce che «ciò non dà luogo all’equiparazione del rapporto di lavoro che intercorre con la scuola paritaria, con quello instaurato» con la scuola statale, perché, nel primo caso, l’assunzione «può avvenire al di fuori dei principi concorsuali» previsti dalla Costituzione.
Per tutte queste ragioni, la Cassazione ha respinto il ricorso delle insegnanti trentine, con una sentenza «errata e foriera di gravi disparità», sottolinea l’avvocato Angela Maria Fasano, legale del Comitato nazionale per il riconoscimento del servizio prestato nella scuola paritaria. Una decisione, quella degli “ermellini”, anche «pericolosa», secondo la giurista, «perché offrirà agli Uffici scolastici regionali la libertà di applicare valutazioni discrezionali, spesso distanti dal lumen normativo». Che è quello, ricorda l’avvocato Fasano, «di porre una completa equiparazione tra istituti statali e istituti paritari».
«Se vi è equiparazione – prosegue la legale del Comitato – la stessa deve valere per tutto, non solo per gli oneri. E poiché i docenti delle paritarie nei cedolini paga hanno lo stesso onere di imposta dei docenti delle scuole statali, non si comprendono oggi le ragioni che spingono la negazione ai fini della ricostruzione di carriera. O lo Stato abbassa le imposte ai docenti delle paritarie, così rimarcando la differenza tra lavoro pubblico e privato come letto dalla Cassazione, oppure riconosca un diritto senza aggravare il lavoratore. Stessi oneri medesimi diritti, altrimenti si rischia di cadere nell’alveo della disparità di trattamento».
Sempre a proposito di buste paga, in un ricorso del 2017 al Parlamento Europeo – a cui si rivolgerà con un nuovo esposto, per violazione della Direttiva comunitaria che prevede l’applicazione delle medesime condizioni di impiego a parità di servizio prestato – il Comitato aveva quantificato in più di 2,5 miliardi di euro, i risparmi per lo Stato derivanti dall’omessa rideterminazione delle buste paga degli insegnanti delle scuole paritarie passati allo Stato. E questo considerando soltanto il 30% degli oltre 300mila docenti assunti in ruolo a partire dal 1999, quelli con un’anzianità di servizio nelle paritarie compreso tra i 9 e i 15 anni.
«Questa sentenza è lesiva della dignità dei docenti delle paritarie – tuona Filomena Pinca, portavoce del Comitato – soprattutto perché il lavoro svolto è stato quello di insegnante abilitato a tale professione e in regolare regime contrattuale e retributivo. Non accetto che, tra le motivazioni, la Cassazione inserisca il fatto che la modalità di assunzione è avvenuta senza seguire dei principi concorsuali, perché nella scuola italiana, come noto, le assunzioni avvengono attraverso due canali: quello concorsuale e quello delle Graduatorie ad esaurimento, dove confluiscono i docenti già abilitati. Spero che le colleghe di Trento si rivolgano alla Corte di Giustizia Europea – conclude la docente – perché questa sentenza reca in sé un provvedimento altamente discriminatorio».
I numeri delle scuole non statali
12.564
Istituti paritari censiti dal Miur per l’anno scolastico 2018-2019, di cui 8.957 sono scuole dell’infanzia
866.805
Alunni frequentanti le scuole non statali, di cui 524.031 sono bambini dai 3 ai 6 anni della scuola materna
866.805
Alunni frequentanti le scuole non statali, di cui 524.031 sono bambini dai 3 ai 6 anni della scuola materna