Il blocco della contrattazione collettiva per gli stipendi statali dall’anno 2010 è stato disposto dall’art. 9 comma 17 del Decreto Legge n. 78/2010, convertito dall’art 1 comma 1 della Legge n. 122/2010.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 178 del 24.06.2015 ha sancito l’illegittimità costituzionale delle norme che avevano disposto il blocco della contrattazione collettiva nel pubblico impiego.
Con questa sentenza la Corte Costituzionale ha stabilito che il protrarsi eccessivamente nel tempo del blocco dei contratti del pubblico impiego è illegittimo, nonché, incostituzionale.
Da gennaio 2010, pertanto, i dipendenti pubblici non hanno mensilmente percepito l’adeguamento del loro stipendio, a causa di un provvedimento legislativo che nel 2015 è stato cancellato dalla Corte Costituzionale. La ratio è evidente: il disagio economico è stato patito in diretta conseguenza di una norma che non esiste più dal mese di agosto 2015!
Ma nonostante questo, il blocco, è oggi ancora attivo e gli adeguamenti non arrivano in busta paga dei dipendenti che, invero, hanno maturato tale diritto.
Pertanto, la sentenza della Consulta ha spalancato le porte all’azione giudiziaria, perché dal 2010 ad oggi non avrebbe dovuto essere disposto alcun blocco e i dipendenti pubblici avrebbero dovuto percepire incrementi stipendiali in ciascuno degli 93 mesi finora trascorsi.
Per tutto il periodo di blocco antecedente al 2015, si potrà, quindi, chiedere l’ottenimento di un indennizzo (si chiama “indennizzo” perché lo Stato ha applicato il blocco prima che la Consulta lo dichiarasse incostituzionale) allo Stato italiano.
Ed invero, nulla è stato fatto a distanza di più di 2 anni dall’esecutività della sentenza della Corte Costituzionale, che aveva dichiarato illegittimo a partire da luglio 2015 il congelamento dei contratti collettivi del personale pubblico.
Lo Stato, pertanto, ha violato l’obbligo di provvedere sancito dall’art. 47 bis, D.lgs. 165/01, che al comma 2 impone il riconoscimento, ai dipendenti dei rispettivi comparti di contrattazione, a decorrere dal mese di aprile dell’anno successivo alla scadenza del contratto collettivo, qualora lo stesso non sia stato ancora rinnovato, di una copertura economica “nella misura e con le modalità stabilite dai contratti nazionali”.
Per questo le Pubbliche Amministrazioni hanno l’obbligo di provvedere a dare corso e concludere le procedure contrattuali e negoziali relative al nuovo triennio “2016-2018” e ad attuare “ad un risarcimento dei danni quantificato in via equitativa in misura almeno pari euro 200 per ciascun mese di ritardo oltre a un “indennizzo, commisurato alla perdita di potere d’acquisto dello stipendio di misura non inferiore a euro 100 per ogni mensilità di stipendio dovuta, per ciascun anno, per un totale pari a 7800 euro.
Di conseguenza, i dipendenti pubblici possono chiedere allo Stato il risarcimento per inadempimento solo per il periodo successivo alla pubblicazione della sentenza, ossia dal 30 luglio 2015, fino alla data in cui avverrà l’effettivo rinnovo del contratto. Per i periodi pregressi, cioè per il blocco della contrattazione negli anni che precedono la sentenza, è possibile chiedere SOLO un indennizzo da “attività illegittima” dello Stato.
Risarcimento e indennizzo: quanto spetta?
• 100 euro al mese a titolo di indennizzo per il periodo dal 2010 al 30 luglio 2015;
• 200 euro al mese per il periodo dal 30 luglio 2015, sino alla data in cui avverrà l’effettivo rinnovo del contratto.
Nel caso in cui il rinnovo avesse effetto da dicembre 2017, spetterebbe un totale di circa 10.800 euro a lavoratore.
1. INIZIATIVA PROCESSUALE
Dopo alcune recenti vittorie sui fori del lavoro la nostra iniziativa prevede la presentazione, previa diffida alle amministrazioni competenti, di un ricorso per l’accertamento del diritto ai rinnovi contrattuali a far data non solo dal 30 luglio 2015 (giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza n. 178 della Corte Costituzionale), ma anche per i periodi precedenti durante i quali era stato disposto il blocco contrattuale, nonché per il rimborso in busta paga della trattenuta del 2,50 %.
2. CHI PUO’ ADERIRE
Possono aderire tutti i militari delle forze armate, forze di Polizia e forze di Polizia ad ordinamento militare che hanno subito il blocco degli aumenti contrattuali e che, pertanto, ad oggi, hanno maturato uno degli emolumenti sopra specificati.
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Con il presente ricorso, peraltro, verrà formulata anche la seguente domanda sulla seguente fattispecie: il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 742 resa in data 11 marzo 2016, ha accolto le ragioni di diritto di alcuni ricorrenti, dichiarando l’illegittimità della trattenuta del 2,50% per i dipendenti assunti dopo il 31.12.2000.
Ed invero, la ritenuta del 2,5% sullo stipendio dei dipendenti pubblici in regime di TFR è illegittima perché deve essere posta a carico dello Stato-Datore di Lavoro, al pari di quanto avviene nel settore privato.
Quindi, per gli assunti a far data dal 01/01/2001 (quindi in regime di TFR) la ritenuta del 2,50% a carico del lavoratore sull’80% della retribuzione non è dovuta (per i lavoratori che facciano apposito ricorso giudiziale). La questione interessa tutti i dipendenti pubblici in regime di Tfr (cioè assunti dopo il 2000 nonchè i precari assunti dopo il 30 maggio 2000) ai quali lo stato continua ad applicare il prelievo in base al Dpr 1032/1973. A dichiarare l’illegittimità di questa trattenuta è stata una sentenza (la numero 223) del 2012 della Corte Costituzionale. In pratica, il prelievo è da ritenersi irragionevole perché non collegato con la qualità e quantità del lavoro prestato e perché, a parità di retribuzione, determina un ingiustificato trattamento deteriore dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati, non sottoposti a rivalsa da parte del datore di lavoro. Il giudice delle leggi ha quindi sentenziato che la disposizione impugnata viola gli articoli 3 e 36 della Costituzione. Principio ribadito con un’altra recente sentenza n. 244 del 2014.
3. DOCUMENTI NECESSARI AI FINI DELL’AZIONE LEGALE
1. Contratto di assunzione.
2. Una busta paga per anno di servizio dal 2010 (gennaio) al 2015 (agosto) – Sufficiente una per anno).
3. CUD ultimi 7 anni.
4. Copia documento di identità in corso di validità e codice fiscale.
5. Copia estratto contributivo INPS.
4. COSTI
Il ricorso ha un costo di euro 50,00 pro capite (comprensivo di IVA e CPA) da versare al momento di conferimento dell’incarico .
In caso mi mancato accoglimento del ricorso nulla sarà dovuto ai predetti legali. Nessun altro costo sarà a carico dei ricorrenti.
5. ADESIONI
Per aderire alla procedura sarà sufficiente compilare il modello di adesione messo a disposizione dal nostro studio che troverete sul nostro sito: www.avvocatofasano.com. Le adesioni potranno essere inoltrate a mezzo del modello che troverete in calce al presente articolo. Il suddetto modello dovrà essere stampato, compilato in ogni sua parte ed inviato con raccomandata AR, unitamente alla documentazione, al seguente indirizzo: STUDIO LEGALE FASANO – VIA CATANIA 42 C PALERMO 90141 – NB: NELLA BUSTA OCCORRE INSERIRE LA DICITURA: “RICORSO AVVERSO BLOCCO STIPENDIALE”.
6. INFORMAZIONI AGGIUNTIVE
Per ogni utile informazione contattare: studiolegale.fasano@alice.it – whatsaapp: 334/8120803 – 329/3405083 – DICITURA MESSAGGIO: info ricorso blocco stipendiale polizia penitenizaria
7. TERMINI PER ADERIRE
Le adesioni dovranno pervenire entro e non oltre la data del 30 novembre 2017.