Si informano i lavoratori a contratto delle Madonie che in data 5 Aprile 2016, alle ore 18:00, presso la Sala delle Capriate, sita in Castelbuono (Pa), si terrà un incontro esplicativo sulle modalità di azione possibili, al fine del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno patito ed alla eventuale stabilizzazione. L’ingresso è libero per tutti gli interessati. Modererà l’incontro l’avv. Angela Maria Fasano del Foro di Palermo.
Il caso: L’ultima pronunzia della Cassazione è una spina nel fianco per tutti i lavoratori precari a contratto della Regione siciliana.
Una sentenza che – a dirla tutta – calpesta la dignità di essere umani con anzianità giuridica ultratrentennale e percorso lavorativo di tutto rispetto.
Se non conoscete bene l’argomento dal punto di vista giuridico, Vi prego: astenetevi dalle critiche. I ragionamenti qualunquisti di chi vede questi lavoratori come dei fannulloni o ruba pecunie pubbliche, sono banditi, non avendo valida ratio legale. Per criticare bisogna conoscere, sapere, analizzare la questione dal punto di vista giuridico. Tra questi lavoratori vi sono, diplomati, laureati, ricercatori universitari e chi più ne ha più ne metta! Soggetti che presentano pieno titolo alla stabilizzazione, avendo lavorato ininterrottamente presso la PA di riferimento.
Pur tuttavia i Giudici di legittimità, con un abile valzer giuridico, gli riconoscono il diritto al risarcimento del danno e non già quello ben più rilevante alla stabilizzazione. Trattasi, ovviamente, di una sentenza che viola il principio costituzionalmente garantito della parità di trattamento nell’occupazione e nel lavoro di cui alla Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000.
Il motivo? Per i docenti si è avviato il percorso di stabilizzazione in seguito al dictat della sentenza Mascolo. Non si comprendono, quindi, le ragioni per cui lo stesso percorso – con un piano di stabilizzazione ben ponderato – non possa essere applicato a tutto il personale a contratto che da oltre vent’anni è legato all’amministrazione da un rapporto di precariato.
Non esistono lavoratori precari di serie A e di serie B! Se il diritto è stato riconosciuto ad una categoria, lo stesso deve operare per tutti coloro i quali presentano medesime caratteristiche giuridiche, considerato anche che per i lavoratori a contratto si registra una anzianità giuridica superiore.
Ecco le ragioni per cui abbiamo deciso di depositare un ricorso in Commissione Europea per l’avvio di una procedura di infrazione. Sappiamo bene che qui in Italia nessun Giudice ascolterà mai le nostre ragioni giuridiche del tutto valide.
Eppure i principi comunitari sono estremamente chiari e non lasciano dubbi interpretativi.
Sulla base del diritto comunitario, ove il lavoratore a contratto presenti determinate caratteristiche – da valutare caso per caso – la stabilizzazione dovrebbe operare in modo automatico.
In nessuno Stato europeo esistono lavoratori a termine, con anzianità giuridica ultraventennale o trentennale! Solo in Italia possiamo assistere a tali omicidi giuridici del posto di lavoro, a causa di responsabilità politiche ben evidenti.
Ci chiediamo: perché i lavoratori italiani non possono avere la medesima tutela lavoristica di altri lavoratori comunitari? Eppure siamo tutti cittadini comunitari. A ben vedere, quindi, il concetto di Comunità europea viene utilizzato in modo poco trasparente.
Eppure la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale che autorizzi il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato.
Nel caso dei lavoratori a contratto dei Comuni appare palese una circostanza: violazione della Direttiva per abuso dei rapporti a termine: la Regione ha consentito di assumere, con una successione di contratti di lavoro a tempo determinato privi di idonea giustificazione, i lavoratori, senza prevedere alcuna misura che limiti la durata massima totale di tali contratti o il numero dei loro rinnovi.
Ne consegue che, quando si è verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione: risarcimento del danno e stabilizzazione. E ciò in base al generale canone ermeneutico dell’obbligo degli Stati UE della interpretazione del diritto nazionale conforme al diritto comunitario, come interpretato dalla CGUE (in tal senso vedi, tra le molte, le sentenze della CGUE 5 ottobre 2004, C-397/01-403/01; 22 maggio 2003, C-462/99; 15 maggio 2003, C-160/01; 13 novembre 1990, C-106/89), appare evidente che le interpretazione rese ad oggi dalla Cassazione, appaiono poco conformi al diritto comunitario.
Infatti, un utilizzo siffatto dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato è direttamente in contrasto con la premessa sulla quale si fonda tale accordo quadro, vale a dire il fatto che i contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro, anche se i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica dell’impiego in alcuni settori o per determinate occupazioni e attività (sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punti 36 e 37 nonché giurisprudenza ivi citata)
Noi non ci stiamo. Vogliamo vederci chiaro. Per questo ci rivolgeremo in Commissione. Accontentarsi del solo diritto al risarcimento significa esultare per le briciole. E dopo anni e anni di sudato lavoro, questo non può essere riconosciuto al lavoratore, essendo una grave offesa morale, prima che giuridica.
Il ricorso collettivo in Commissione è divenuto una realtà. Per info:studiolegale.fasano@alice.it